Maieutica e Media Education : approcci vincenti

lezione frontale 2

I media digitali spostano lo spazio da luogo fisico a luogo sociale. Prima il luogo di accesso al sapere era la scuola, oggi il docente lavora su un patrimonio di informazioni da rimodulare. Nelle platee dei numerosi corsi di formazione da me sostenuti in qualità di esperto spicca la necessità di interventi nuovi, innovativi per arginare la crisi culturale emergente . Dal Nord al Sud le problematiche coesistono: apprendere dalla lezione frontale è molto difficile, per non dire impossibile.

Il pedagogista Daniele Novara sostiene che “la lezione frontale, su cui si basa ancora il nostro sistema scolastico, si fonda su una grande illusione: gli alunni “devono ascoltare”. Come non chinarsi davanti a cotanti assunti pedagogici che anche i governi dei tagli ventennali alle risorse sono riusciti a ideare? La stessa Legge 170/2010 “ insiste più volte sul tema della didattica individualizzata e personalizzata come strumento di garanzia del diritto allo studio, con ciò lasciando intendere la centralità delle metodologie didattiche, e non solo degli strumenti compensativi e delle misure dispensative, per il raggiungimento del successo formativo degli alunni con DSA”. Le ricerche neuro scientifiche, oggi ci assicurano, che bambini e ragazzi apprendono dall’imitazione (i neuroni a specchio!), dall’interazione sociale con i pari e nel fare esperienza diretta, usando le conoscenze acquisite imparano ad affrontare i problemi”. Conclusione? “Mille ragioni dichiarate ma la scuola italiana “è imprigionata nella didattica della “risposta esatta”, con quiz e test a crocette che “sottovalutano le capacità di apprendimento di ragazzi”. E come posizioniamo il digitale? “Di male in peggio, se non sono veicolati nel modo giusto. Programmi e investimenti sanciti dalla L.107/2015 rivolti alla tecnologia nella convinzione di rivolvere miracolosamente l’esigenza d’innovazione e il progressivo declino di motivazione, interesse e rendimento scolastico delle nuove generazioni. Invece, a un problema irrisolto ne abbiamo aggiunto un altro, che peggiora ulteriormente la situazione. Il digitale, infatti, crea dipendenza da stimoli visivi e interattivi e diminuisce l’interesse nei confronti della realtà rendendo ancora più fragile la capacità di attenzione”. Il digitale ha la sua valenza quando diventa mezzo utile per motivare all’apprendimento la generazione dei nativi digitali. Non va considerato sostitutivo tuor court e tantomeno sconfessato quale alienatore delle menti. Imparare a leggere e scrivere, sicuramente, mette in atto un processo di apprendimento tattile che richiede l’uso di importanti circuiti cerebrali dedicati alla lettura. Scrivere a mano sviluppa capacità visive, viso-motorie e viso-costruttive che l’uso della tastiera non stimola. Inoltre, la motricità fine legata alla scrittura influenza anche le capacità mnemoniche. Da recenti studi, spicca l’idea emergente sulla scrittura creativa teorizzata per la capacità critica. Per diventare uno strumento privilegiato all’apprendimento, la tecnologia deve restare all’interno di una cornice di uso collettivo e sociale da utilizzare a gruppi in classe. E non solo! L’educazione ai media o Media Education è un’espressione che deve entrare in modo perentorio e tassativo nelle Indicazioni Nazionali del Curricolo: la competenza mediale in riferimento alla formazione delle capacità di utilizzare opportunamente i media, da non confondere con l’educazione con i media, generalmente indicata con l’espressione “didattica tecnologica” o “tecnologie didattiche”, laddove i mezzi di  comunicazione sono considerati semplicemente in prospettiva strumentale. La competenza mediale (media literacy) include diverse dimensioni che può essere  riassunta in mediologia, capacità d’uso per trarre profitto dai contenuti, critica dei mezzi di comunicazione di massa riconoscendo, anche e soprattutto i pericoli per un orientamento rivolto alla formazione di abitudini responsabili e consapevoli. Compito della scuola è educare alla prudenza digitale per viaggiare informati e navigare sicuri, immaginare la propria cittadinanza digitale e non negarne l’esistenza ma accettarne le dinamiche. Ciò che diversifica, nativi ed immigranti digitali, non è la competenza tecnica, ma immaginare un formidabile ponte intergenerazionale ne è la soluzione. Dare di conseguenza valore allo spazio e senso al tempo in modo ricreativo, creativo, costruttivo in contesti formativi pedagogico – didattici ne è la soluzione. TANTI PAVENTI… e quindi, che fare? “Investire sulla formazione metodologica degli insegnanti, dalla scuola primaria alle superiori, offrendo loro – suggerisce Novara – dispositivi pedagogici innovativi, per liberarli finalmente dagli sterili automatismi del passato”. Il nuovo modello di riferimento metodologico dovrebbe avere tre parole chiave: azione, osmosi sociale, opportunità. Perché s’impara facendo – doing by doing , nel gruppo e dal gruppo, quello che si vuole e si può. E dovrebbe seguire precise condizioni procedurali: impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche, proporre e costruire esperienze, attivare riconnessioni e scoperte, riutilizzare in contesti e momenti diversi quello che si è appreso. La lezione frontale richiede molta capacità di attenzione, che se non sostenibile dagli adulti, figurarsi da bambini e ragazzi. Troppo facile la lezione frontale, non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l’alunno. Il modo di vivere nell’era digitale cambia i paradigmi dell’apprendimento:non si impara da soli – Il migliore processo di apprendimento non si attiva mai in solitudine, ma nello studio di gruppo. Il genio intellettuale, che studia isolato, come Vittorio Alfieri che si lega alla sedia o Giacomo Leopardi rinchiuso nella biblioteca paterna, non sono modelli ma personaggi speciali, l’eccezione che conferma la regola. Le scoperte legate al sistema dei neuroni a specchio confermano l’importanza dell’interazione sociale per imparare: osservando gli altri nel nostro cervello si attivino le stesse aree necessarie per acquisire quelle informazioni. Inoltre, il gruppo attiva numerosi elementi emotivi e motivazionali e favorisce le capacità cognitive. La scuola, per sua natura sociale, gestisce un processo di apprendimento di gruppo, in cui la logica dell’isolamento è fuori contesto. Nella pratica della scuola italiana costatiamo quotidianamente che nella maggior parte delle classi di ogni ordine e grado ha ancora un ruolo egemone, la lezione frontale, che prevede la trasmissione nozionistica e individuale della risposta considerata “esatta”, che deve essere rielaborata in solitudine, nella convinzione diffusa che il confronto con gli altri sia solo una perdita di tempo, un elemento che disturba il tradizionale processo di apprendimento. C’è poi un secondo aspetto strategicamente essenziale: il gruppo. A scuola si impara nel gruppo e dal gruppo. S’impara molto di più dai coetanei che dagli insegnanti. L’esempio dei compagni, rivelando i propri meccanismi personali in azione, stimola più facilmente la comprensione e l’attivazione all’apprendimento. Nella scuola imperversa il divieto di copiatura, la proibizione al confronto reciproco, lo scarso utilizzo dei lavori di gruppo, mentre sono sottostimate le potenzialità della peer education o insegnamento reciproco. La rielaborazione e l’autovalutazione degli apprendimenti è doverosa, ma perché gli alunni ottengano migliori risultati è indispensabile dar loro la possibilità di osservare e imitare quello che fanno i compagni. Non è possibile una didattica efficace senza il gruppo classe. Nel processo di apprendimento tutti agiscono in maniera opportunistica, ossia in maniera discrezionale, imparando soprattutto ciò che rispecchia il proprio interesse adattandolo alle proprie possibilità e risorse. È il meccanismo della sostenibilità individuale, quello che chiarisce l’inutilità del dare consigli: posso spiegarti benissimo quello che farei io, ma non diventerà mai quello che farai tu se non è sostenibile interiormente per te, se non aderisce alla tua logica di interazione con il mondo. Ognuno impara quello che vuole e che può: c’è uno scambio profondo fra le risorse individuali e l’esperienza che un allievo vive. Un docente competente sa cogliere e sfruttare le dinamiche opportunistiche a vantaggio degli obiettivi  d’apprendimento, e sa riconoscere la diversità delle risorse valorizzando il percorso individuale più del risultato. La maieutica, quindi, come approccio vincente che come la lezione frontale, risale alla notte dei tempi ma, al contrario, risulta ancora oggi innovativa perché più aderente alle condizioni che permettono di imparare in modo efficace. Da Socrate a sant’Agostino, fino a Maria Montessori, Danilo Dolci o Paulo Freire, l’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale, l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente. La maieutica è orientata a sviluppare la capacità di acquisire apprendimenti che portano l’alunno a fare da solo e a essere in grado di costruire delle competenze permanenti, non estemporanee né basate su performance puramente ripetitive. Può essere sintetizzato in un’idea: “Fare esperienza insieme agli altri e affrontare in gruppo i problemi che rendono capace di imparare autonomamente” ed aggiungo, meglio se mediato dalla tecnologia. Il nuovo insegnamento deve impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche. Significa attivare e creare un momento di impatto e di sorpresa. Qualcosa che favorisca anche un decentramento, e l’incontro con l’inedito. È il meccanismo della motivazione estrinseca che però questa volta, invece di essere impostato classicamente sulla punizione o la gratificazione, funziona come stimolo. Ti attivo, ti coinvolgo, ti sorprendo, ti muovo. Il ruolo del docente è di proporre, costruire esperienze, progettare un ambiente e situazioni di lavoro, non di sostituirsi allo studente nel percorso. L’obiettivo è l’azione: incontri, sperimentazioni, laboratori, percorsi, ricerche, confronti sono alla base di questa impostazione didattica e il mezzo è il gruppo dentro al quale il percorso esperienziale si arricchisce delle risorse e delle potenzialità, come anche dell’esperienza del limite di ciascuno. Attivare, quindi, riconnessioni e scoperte è la fase del debriefing. Dopo che l’esperienza è stata fatta, occorre un lavoro in cui si cerca di capire, riconnettersi a ciò che già si conosce, verificare ciò che è stato scoperto. È la fase della rielaborazione attiva del materiale che comporta anche il processo di memorizzazione, riproposizione e infine archiviazione di ciò che si è imparato. L’ultimo step del processo riguarda le ricadute operative e le esercitazioni. È l’operatività, la possibilità di riutilizzare in contesti e momenti diversi quello che si èappreso che garantisce l’aver imparato. In questa logica, tanto antica quanto innovativa, la procedura didattica si svolge in una dinamica opposta a quella della spiegazione frontale che apparentemente appare semplice da gestire ma che, nella realtà, si rivela estremamente complessa.

 

Dott.ssa Gabriella Muraca Iannazzo

Referente scuolaE’…

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